San Girolamo nello studio è un dipinto olio su tavola di tiglio (45,7x36,2 cm) di Antonello da Messina, databile al 1474-1475 circa e conservato nella National Gallery di Londra.
Il dipinto si trova menzionato per la prima volta, nel 1529, dallo studioso d'arte veneziano Marcantonio Michiel, in una collezione veneziana di Antonio Pasqualino, come opera incertamente attribuita ad Antonello o a Jan van Eyck o a Hans Memling. I primi ad attribuire l'opera con certezza ad Antonello da Messina sono i critici d'arte Giovan Battista Cavalcaselle e Joseph Archer Crowe, i quali stavano compilando un catalogo sui primi pittori fiamminghi (1856). Si è ritenuto a lungo trattarsi di un'opera eseguita durante i primi tempi del soggiorno veneziano di Antonello, ma molto probabilmente si tratta di un'opera dimostrativa, da mostrare ai committenti veneziani. Un dipinto di Jan Van Eyck rappresentante il medesimo soggetto fu probabilmente visto dall'autore a Napoli, dove l'opera venne documentata nel 1456.
Pervenne al museo londinese per acquisto nel 1894.
Una grande finestra ad arco di stile catalano si apre sullo studio di san Girolamo, il padre della Chiesa che tradusse la Bibbia, intento alla lettura come un dotto umanista. Lo studio è composto da una specie di vano rialzato di tre gradini, immerso in un'ampia costruzione gotica con un portico rinascimentale a destra. Straordinariamente complesso è l'uso della luce, che proviene, secondo la maniera fiamminga, da più fonti: innanzitutto l'arco centrale, da dove entrano raggi che seguono le direttrici prospettiche e che dirigono lo sguardo dello spettatore su san Girolamo, in particolare verso le sue mani e il libro, dando al santo una particolare imponenza; poi da una serie di aperture sulla parete di sfondo, in particolare due finestre nella metà inferiore, che rischiarano rispettivamente un vano a sinistra e il portico a destra (dove si aggira in controluce il leone amico di Girolamo), e tre bifore polilobate nella parte superiore, che illuminano le volte. Nonostante la complessità, la luce riesce a produrre un effetto unitario, che lega le diverse parti della tavola, grazie anche alla salda costruzione prospettica. Anche la ricchezza dei dettagli rimanda ai modi fiamminghi, con l'attenta descrizione dei singoli oggetti e del loro "lustro" specifico, cioè del modo in cui ciascuna superficie rifrange la luce.
La presenza della cornice esterna è un espediente compositivo, presente nell'arte fiamminga ma citato anche da Leon Battista Alberti, per oggettivare lo spazio della rappresentazione, allontanandolo e distinguendolo dallo spettatore. La "cellula" dello scrittoio appare perfettamente organizzata, con i suoi arredi, gli scaffali e altri oggetti minuti, come i vasi in maiolica per le erbe aromatiche. I libri aperti sulle mensole sembrano disposti così per misurare la profondità della rientranza. Il pavimento a piastrelle geometriche appare come un autentico tour de force prospettico, perfetto nella definizione geometrica e nei giochi di luce ed ombra che variano a seconda della fonte di illuminazione.
In primo piano, a sinistra, la coturnice allude alla Verità di Cristo, mentre il pavone ricorda la Chiesa e l'onniscienza divina. Sul piano su cui posa lo scrittoio del Santo, da sinistra vediamo un gatto e due piante in vaso: si tratta di un bosso, che richiama alla fede nella Salvezza divina, e un geranio, riferimento alla Passione di Cristo. Sulla panca a destra è posato il cappello da cardinale.
Nonostante le piccole dimensioni, il dipinto assume un effetto monumentale grazie allo scandirsi dell'architettura catalana, che gioca con pieni e vuoti, e alla luce che colpisce il soggetto e che si infiltra dalle finestre sullo sfondo, facendo intravedere un paesaggio curato minuziosamente. La prospettiva centrale fa convergere lo sguardo direttamente sulla figura del Santo, per poi allontanarsi man mano seguendo i dettagli dello studio. Sintesi di prospettiva e luce, il San Girolamo nello studio, è probabilmente l'opera che Antonello porta come “saggio di pittura” per il suo soggiorno veneziano (1475-1476), da mostrare come testimonianza alle future committenze.